Fatacarabina

Fatacarabina

martedì 3 marzo 2009

schizofrenia da jet-lag

Sono in questo letto che sembra grande tre volte tanto, con gli occhi sbarrati nel buio, in preda agli effetti del fuso orario e non me ne frega assolutamente niente. Devo riposare che c'è da lavorare. Si galoppa subito; non c'è tempo, quando torni a casa da un viaggio, di disfar la valigia che ti tocca subito riprendere a correre, con il cellulare nella mano sinistra e l'agenda nella destra. Per non perdere un secondo, un minuto, un'ora.
Sono qui in questo letto che è una immensa isola e ci passeggio dentro e rivivo i secondi, i minuti, le ore di un viaggio e stavolta mi mancano i colori della mia America latina ma non c'è tristezza. Perché tanto ci torno.
E riprenderò a camminare per il mondo, ad incontrare persone, a sentirle vicine o lontane, come faccio tutti i giorni, qui, in questa umida laguna, che mi entra nelle ossa, mi lavora dentro, scavando cunicoli in questo cuore che è un mattone forato. E io sono qua che aspetto di capire che suono produce il vento passandoci dentro, tra le ossa sporche di argilla rossa. E sento la sofferenza e non la posso fermare. Che io non ho la forza di fermar nulla, tranne quella di chiudere una porta o di aprire una finestra per lasciar entrare il vento. E questo letto, come una placida isola, adesso scivola lieve in un mare di piacere, personale e condiviso. Mi ci sistemerei sopra e come si fa con i tappeti volanti, lo userei per andar ovunque, stesa come una gatta stanca, sfiancata da un impertinente raggio di sole. Ho viaggiato con le gambe, ed ora sono stanche, ma sono ancora in viaggio con il cervello che ha la forza di un bastimento a vapore e su quest'isola-letto sento di poter andar ovunque. E se mi ci accoccolo dentro mi sento quella gatta, sfiancata da un raggio di sole. E ci sto bene.

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