Fatacarabina

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domenica 1 febbraio 2009

La tira ossi

Zia Ester aveva un potere. Mia madre me lo diceva sempre. "Comportati bene con lei, che è una mezza strega". A guardarla , seduta nel salotto di casa, intenta a sistemarmi l'ennesimo dito gonfio dopo una partita con i ragazzi al campetto da basket, mica ci credevo tanto. Era piccolissima, la zia. Piccola come può esserlo una bambina. Ma aveva le rughe a testimoniare che gli anni per lei erano passati. Mi diceva mia madre che aveva passato gli ottant'anni. Ma a me sembrava solo una bambinetta rugosa, con gli occhi vispi. E silenziosa.
Zia Ester parlava pochissimo. Con l'uovo guariva ogni genere di dolore, contrattura, dito rovinato dai nostri giochi di bambini. La chiamavano tutti nel vicinato quando serviva una che "tirasse gli ossi".
Una sorta di fisioterapista di paese. Ma lei in più aveva una dote. Lo disse lei stessa con poche parole, un giorno che oggi sembra un secolo fa, mentre mi sistemava una caviglia gonfia come un melone. "Io sento".
Sentire, quello era il segreto del potere della Zia Ester. Mia madre, devota donna di campagna, passata non senza patemi d'animo, dalla condizione di religiosissima figlia di contadini a moglie di un comunista incallito, allergico all'incenso e a qualsiasi funzione religiosa, la definiva come una mezza strega. Non strega intera, di quelle che fanno i riti magici e ti appioppano fatture e maledizioni. Mezza, invece. Quindi una strega ma buona e innocua. Ovvero, come tentò poi di chiarirmi mio padre, una donna che sente le cose, prima che accadano e magari te lo dice pure. In realtà zia Ester non diceva proprio niente, ma sentiva e teneva per sé. Salvo uscirsene in qualche rara occasione con una affermazione che poteva spaccare in due qualsiasi umano di passaggio. Perché inattesa e imprevista. Te la ritrovavi spesso per casa, perché viveva da sola e tutti i parenti, a turno, si prodigavano per invitarla a pranzo o a cena. Era zitella, non si era mai sposata. Le cugine mi raccontarono che lei si era innamorata così tanto di un soldato, che quando lui partì per la guerra e poi non si fece più vedere, lei pianse per mesi e poi disse a sua madre che sarebbe rimasta da sola. E così fu. Non prese i voti per diventare suora, solo perché lei odiava fortemente tutti i preti. Li considerava espressione del demonio. E così diventò la "tira ossi" del paese. La pagavano poco oppure le garantivano uova, galline, musetti e quant'altro fosse prodotto nelle case di campagna della zona. E quando sua madre morì la casa restò a lei e tutti si prodigarono per garantirle un aiuto economico. Tutti in paese erano sicuri che lei fosse vergine, perché non l'avevano mai sentita parlare di sesso o uscire con un uomo. Per lei il mondo era esclusivamente al femminile. Solo donne voleva attorno a sé, gli uomini li vedeva solo se doveva curarli.
"Io sento", mi disse quel giorno la zia. Stava stendendo l'impasto d'uovo sulle bende che mi avrebbero stretto fortemente il piede gonfio. Poco prima mi aveva "tirato" i nervi, toccando le dita del piede, una ad una. Io stavo ancora bestemmiando dal male, con mia madre in sottofondo intenta a ridere e a farsi ogni tanto il segno della croce, quando zia abbassò ancora di più il tono della voce e mi disse. "Non preoccuparti, arriva". E poi aggiunse quel "Io lo sento". Io rimasi con un sorriso a metà, decisa a non mostrare quanto ero stupita da quella affermazione, che mi era arrivata addosso come un sasso lanciato dalla finestra. "Perché me lo dici, zia? E cosa arriva? ", provai a chiederle. Ma oramai lei era tornata al suo notorio silenzio, con le mani sulla mia caviglia e gli occhi fissi sul piede. Poi andandosene, tornò a sfiorarmi il viso. "Ti sembrerà che non arrivi mai, ma arriverà", tornò a dirmi, guardandomi stavolta negli occhi. Quando la zia morì, lo disse a tutti il giorno prima ma nessuno ci fece caso, perché nessuno capì quel che stava dicendo. Eravamo tutte nel soggiorno di casa sua, le avevamo portato delle uova. Lei era nervosa, quel giorno, come se la nostra visita l'avesse infastidita. Come se dovesse uscire per un impegno. Ma di casa praticamente non usciva mai. "El me ga ciamà, bisogna che vada" disse a mia madre e alle altre due zie che erano con noi. Loro non ascoltarono, io sì, invece. Avevo sentito benissimo quello che Ester aveva detto. E la zia, come se l'avesse capito al volo, girò la testa verso di me. "Digeo ti, che ti ga capìo", mi disse lentamente. Poi si avvicinò a me e mi prese la mano, accarezzandola. E mentre mamma e zie sistemavano casa, pulendo il lavello della cucina e spazzando per terra, zia Ester tornò a parlarmi. Mi fece un discorso strano, che ricordo ancora. Mi spiegò che io dovevo star tranquilla , che era vero che io sentivo, ma non come lei. Ed era una fortuna. Lei sentiva le cose, io le emozioni. Lei sentiva che gli eventi sarebbero capitati, e purtroppo sentiva, invecchiando, sempre più le sciagure e meno le felicità. Io invece sentivo gli stati d'animo e ci avrei convissuto benissimo. Bastava che parlassi poco. Poi tornò a ripetermi quella frase che era un mistero e lo è ancora oggi. "Non preoccuparti, arriva". Non so ancora chi io debba aspettare o se questo qualcosa o qualcuno è già arrivato e io non l'ho visto. Perché il mio sentire, semplicemente non esiste. Zia Ester se ne andò la mattina dopo. L'aveva uccisa nel sonno un infarto. Sul comò a fianco del letto c'era la foto del suo innamorato, il soldato sparito chissà dove. Sul tavolo della cucina trovarono il suo amato mazzo di carte, con cui giocava a scopa, ma che amava anche tenere solo tra le mani per ore, e un foglietto. C'era scritta solo una parola. "Arrivo". A voi parrà strano, ma forse io ho capito perfettamente chi l'aspettava. Ma non mi va di dirvelo. Certi appuntamenti vanno tenuti riservati.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

e certi post vanno fatti conoscerew, invece!
:)

vix ha detto...

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fatacarabina ha detto...

che succede vix?

vix ha detto...

ooops! ti ho appena risposto, di là, da me :)
oggi saltabecco un po' fuori ufficio.
a presto.

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