Fatacarabina

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domenica 9 novembre 2008

Gigio, il marziano

Eravamo amici, io e il marziano.
La prima volta che vide il mare, mi chiamò al cellulare. Ricordo che era pomeriggio, e la sua vocina urlava dentro al telefono.
"L'ho visto, l'ho visto. Sono entrato dentro, con i jeans e la maglia!"
Gigio quel giorno era davvero felice. Quando chiuse la comunicazione, dopo avermi urlato per trenta minuti nell'orecchio la sua gioia e i giochi di spiaggia e le onde, io piansi. Di felicità. Chi era con me non ci capì nulla, ma poco importa.
Gigio aveva visto il mare, per la prima volta, a sessant'anni.
In realtà era come se ne avesse diciotto di anni, era come un ragazzino alla scoperta del mondo. Il mare, la pizzeria, la discoteca, le gite in montagna. Un diciottenne che viveva in un posto da vecchi, ospite di una casa di riposo .
Viveva in un corpo da vecchio in mezzo ad anziani non autosufficienti e per loro era diventato un simpatico punto di riferimento. Eccentrico, ma utile, e soprattutto allegro. Gigio accudiva il giardino, andava al mercato a far le spese per gli ospiti che non potevano muoversi oppure andava in farmacia a far le commissioni. E soprattutto nel giardino della casa di riposo aveva creato un angolo dove dava ospitalità agli uccellini abbandonati o ai volatili, che d'estate restavano soli per le ferie dei padroni di casa. A Mirano tutti andavano da lui a portargli gli uccellini trovati feriti, ammalati o abbandonati. Ma arrivava anche gente che gli lasciava il canarino per due settimane. Era come una pensione per volatili. Lui, felice, accoglieva tutti i nuovi amici, li accarezzava e li metteva nella grande voliera del giardino della casa di riposo.
A me aveva spiegato perché lo faceva. Era il suo modo di rifarsi da una vita passata in gabbia, controvoglia e soprattutto forzata.
Eravamo diventati amici nella sua precedente vita. Quando Gigio era un barbone che viveva al Macallè, in mezzo alle case diroccate del rione di Mestre a due passi da piazza Barche. Un giorno rischiò di morire: aveva freddo, aveva bruciato dei giornali dentro una casa diroccata e il fuoco aveva arso in fretta le assi marcite mandando in fumo lo stabile. Lui si salvò per miracolo e così il piccolo mondo del Macallè si accorse di lui.
Cominciò a vagare per i negozi, poi arrivò anche al mio ufficio. Non voleva soldi, chiedeva un pacchetto di caffè ed un chilo di zucchero. Ero incuriosita da un accattone che non chiedeva denaro ma solo cose che gli potevano servire per vivere in strada. Saliva le scale e sapevi che era lui: "Marziani!!!!" urlava non appena la porta si apriva, e io ridendo ricambiavo chiamandolo a sua volta, Gigio il marziano.
Un giorno venne a trovarmi, io ero al telefono e lo feci accomodare davanti a me, e finita la telefonata, dopo averlo visto così calmo osservarmi mentre lavoravo, ci provai. Gli chiesi chi cavolo fosse, che vita aveva alle spalle. Credo, non aspettasse altro. Mi raccontò la sua vita di bambino abbandonato dalla madre, spedito in orfanotrofio con un nuovo cognome e dopo qualche anno dichiarato pazzo, perché troppo vivace. Mi mostrò i polsi, piagati dai lacci di costrizione. I denti, scomparsi, mangiati dalle dosi di elettrochoc a cui venne sottoposto negli anni. Aveva girato i manicomi di mezzo Nord Italia. Ogni volta scappava, mi raccontò. Ma non sapeva dove andare, saliva su un treno e lo riprendevano alla fine. Tornava in manicomio, e giù dosi di farmaci e cure psichiatriche. Mi raccontò che in quegli anni aveva finito con l'abituarsi alla fine ad essere pazzo.
Non capiva niente, i farmaci lo rendevano un essere inanimato. L'elettrochoc gli strappava via i pensieri dalla testa e gli lasciava solo, dentro, un atroce dolore.
Pensava di essere pazzo e di morire da matto. Non so se tutti i suoi ricordi fossero reali o offuscati dagli anni di manicomio. So quel che Gigio mi confidò: che ogni giorno ringraziava il suo santo , Franco Basaglia che aveva conosciuto a Trieste, perché quell'uomo era riuscito a far chiudere i manicomi e regalargli la libertà.
Come molti altri, da incapace di intendere e volere, si ritrovò libero di colpo. Ma senza aiuti, riferimenti, amici finì sulla strada, passando da pazzo a barbone. E tornò a Mestre, forse perché quella città era l'unica che conosceva e qui era in fondo nato. Anche se da madre ignota.
La sua seconda fortuna fu rischiare di morire bruciato nella catapecchia del Macallè. Quartiere di lavoratori, gente per bene. Dove di notte si aveva paura a girare perché c'erano gli spacciatori. Ma lì la rete di solidarietà della gente aiutò Gigio, scampato al rogo. C'era chi gli pagava il caffè, chi il panino, chi gli assicurava il pacchetto di caffè e lo zucchero. Altro non chiedeva, andava dai frati a mangiare. Andò avanti così per alcuni anni, finchè non cominciò ad ammalarsi ed allora ci fu chi riuscì a trovargli un posto a Mirano, in casa di riposo. Lui pagava una parte della retta, con la piccola pensione che lo Stato gli passava. Gigio trovò una casa. E tornò a rivivere, si mise a fare tutte le cose che la vita in manicomio gli aveva negato. A sessant'anni vide il mare per la prima volta. Andò in montagna con gli scout e pure anche in discoteca dopo una serata passata in pizzeria. E baciò una donna. Me lo aveva raccontato in una delle sue telefonate. Era un segreto , mi disse. Tra amici. Ogni sua telefonata era una esplosione di felicità: urlava nella cornetta, chiamandomi marziana, e mi raccontava tutto quello che aveva combinato. Potevo essere in bagno, ad un convegno o a letto. Non importava, Gigio doveva raccontare.
Andavo a trovarlo in casa di riposo e mi mostrava gli ultimi amici pennuti arrivati nella grande voliera. Ed ogni volta gli occhi gli brillavano, e le rughe della vecchiaia sparivano. Mi prendeva le mani e cominciavamo a saltellare, come in un grande girotondo di ringraziamento. Come due amici, marziani.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Un racconto delicato e vivace allo stesso tempo. Strepitoso, fata.

L'avvocatessa ha detto...

Stupenda.

:-)

Anonimo ha detto...

Fantastico racconto!

fatacarabina ha detto...

grazie a tutti e tre, davvero. E un pochino arrossisco

Anonimo ha detto...

grazie a te per questo racconto, davvero bellissimo

Niki1601 ha detto...

"Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro".

Fabrizio De André - Un matto

Grazie, Fata.

fatacarabina ha detto...

grazie a te, niki

Unknown ha detto...

Sei proprio una fata! :-)

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