A me piacciono le parole veneziane, che sono così piene di s e di r che mentre le pronunci ti pare di star lì a scriverle, su un enorme foglio bianco, con la bella calligrafia. Quella che io non so fare. Talvolta sogno di scrivere con una bella calligrafia, poi mi sveglio.
Talvolta sogno che mi sveglio e Venezia è un'isola dei Caraibi, mi ricordo che una volta avevo visto una bellissima pubblicità di piazza San Marco, che al posto dei colombi, ci avevano messo centinaia, che dico, migliaia di pappagalli colorati. E insomma, io talvolta sogno che Venezia è un'isola, che già lo è, tutta, e che si trova ai Caraibi. Poi mi sveglio.
E c'è l'aguasso. Che è una condizione dell'animo, mi pare, soprattutto. Perché siccome alle parole i veneziani alla fin fine ci danno il sentimento che vogliono loro, l'aguasso che vorrebbe dire la rugiada, il che presuppone che ci sia già freddo, lo usi anche quando c'è vento di scirocco e ti pare di star ai Caraibi e invece vivi nell'umido dell'aria e dell'acqua, che son giorni che non smette di piovere qua, e se smette c'è scirocco e umido, e dopo la pioggia dall'alto, c'è quella dal basso, l'acqua alta e sei sempre in mezzo all'aguasso, alla fine. Se sei meteoropatico a Venezia, non importa se di qua o di là dal ponte, c'hai l'aguasso dentro.
"È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore." "Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera. "Perché?" "Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile."
Fatacarabina
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