Come quello che per prepararsi al tiro con l'arco, prima si pulisce bene il naso, poi prova la respirazione con le orecchie, e stiracchia la retina con uno stretching, così chi scrive a volte ha bisogno di gesti rituali prima di scatenarsi davanti alla pagina bianca. Che se scrivere è un bisogno, anzitutto, anche il rituale lo diventa.
E io mi immagino che la fissa non sia solo mia. Mi immagino Gabriel Garcia Marquez che prima di lanciarsi a scrivere un pezzetto del suo ultimo romanzo, si toglie le scarpe, allenta il collo della camicia e si gratta la testa annusando l'aria di Cartagena, fai te.
Io non penso che son come lui, il Gabriel, ma dico che secondo me io e lui qualcosa in comune ce l'abbiamo, nonostante l'abisso che ci divide. Ed è il rituale ed è il bisogno.
Io quando sento il bisogno di scrivere me ne accorgo perché la storia o il pezzetto di storia comincia a girarmi in testa come una cantilena da bambini. E mi succede che magari sono a cena con gli amici e mi distraggo e allora chiedo scusa, tiro fuori la Moleskine e scrivo due appunti. Ma non basta perché magari mi son esaltata per un dialogo immaginato e quello, seppur abbozzato a penna, continua a restarmi dentro la testa e a me prende una sorta di spissa di andarmene che è simile alla condizione per cui ti scappa all'improvviso quella pipì che la fai e stai bene ma dieci minuti dopo ne senti il bisogno di un'altra. E allora l'unica soluzione è resistere finché puoi, perché non si mollan gli amici su due piedi, non è come andar in bagno, scusate, vai e torni. No appena puoi devi correre a casa. Intendendo per casa un luogo dove nessuno rompe, può essere anche la tromba delle scale di una casa in cui non abiti, in piena notte. Nel mio caso è meglio se vado a casa mia.
Ma mica mi butto subito a scrivere. No, serve areare la stanza e togliersi il più in fretta possibile i vestiti che stringono e restar in ciabatte e maglione o con il kimono se fa meno freddo e sentir l'aria frizzantina che entra dalla porta del terrazzo, anche se fuori c'è la neve, e aver l'acqua, sì, l'acqua del rubinetto bella fredda, da frigo, con il bicchiere vicino. Che non si deve far fatica, sentirsi stretti, aver distrazioni.
E se sai quel che ti serve mica perdi tempo, tanto a sistemar i vestiti e le scarpe ci pensi dopo. Quando ti è passato il bisogno.
E Gabriel mi capisce.
"È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore." "Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera. "Perché?" "Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile."
Fatacarabina
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2 commenti:
sappi che se ti dovesse venire la spissa mentre sei con me, basta dirlo e lo capirei :-)
smack chiara :)
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