Dicono di me che sono una roccia, poi se mi conoscono vedono che sotto c'è la meringa con la panna.
Se non mi conoscono, continuano a pensare che sono una roccia.
Per qualcuno sono stata uno scoglio, comodo, su cui appoggiarsi per prendere il sole o evitare di annegare.
Io mi sono sempre vista invece come una spiaggia, larga, con il vento che gioca con le onde e la sabbia vellutata dove è piacevole giocare e correre ma anche semplicemente stare distesi a sentire. In silenzio.
Non sono una roccia, ma ho imparato che qualche mia paura, in passato, era stupida. Su una invece non sono riuscita a far alcun tipo di intervento curativo. La paura di dire quello che provo e di non essere sentita.
Sono decisamente la sorella grande di Doro. Quando ne ho scritto, non me ne ero mica resa tanto conto.
Adesso lo so. Io e lui abbiamo la stessa paura.
Di vivere in un mondo che non reagisce, che non risponde, che non dice. Un mondo in cui al no e al sì, si preferisce un silenzio che non è di liberazione ma che serve solo a far finta che non ci siamo.
"È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore." "Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera. "Perché?" "Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile."
Fatacarabina
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