Fatacarabina

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mercoledì 1 ottobre 2014

Jet lag

Sono tornata a casa. Mi piace partire, fare la valigia, andare, vedere, annusare, assaporare, camminare. E poi tornare con la sensazione di avere non solo la valigia più pesante ma anche l'animo più pieno.
New York non era una meta prefissata, è stato un evento inatteso, nel percorso nuovo che sto seguendo da un pezzo a questa parte.
Ho lasciato i miei stivaletti da motociclista neri all'angolo della quinta, dentro un sacchetto. Serviranno a qualcuno per camminarci ancora. Anni fa ho lasciato le mie vecchie pedule viola in un sacchetto in un paesello sulle Ande, con lo stesso intento. Farci camminare qualcun altro.
Ho camminato tanto a New York. Ho guardato molto.
Sono tornata con gli occhi aperti. Il viaggio aereo di ritorno è stato strano; a me è sembrato sia durato poco rispetto all'andata, annacquato dal senso del dormiveglia. Come la città non dorme mai, anche io ho finito con il tornare sveglia, ma  annacquata da una sonnolenza che non si è ancora trasformata in sonno ristoratore. E prima di lasciarmi andare al riposo, ho voglia di scrivere.  Ma non so bene cosa.
Mi è piaciuta New York, nonostante non sia tutto bello quello che ho visto.
Lo spreco incredibile di cibo mi ha infastidito. Sembra che ci sia così tanta fame che sia necessario sfornare cibo in porzioni triple a quelle a cui siamo abituati per sistemare tutto.
Mi ha infastidito che il barbone che mi ha chiesto una sigaretta per strada fosse pronto a pagarla un dollaro, come se fosse lì a dirmi che tutto, anche la gentilezza, in fondo, ha un prezzo.
Mi ha infastidito l'indifferenza della gente che non scendeva ad Ellis Island per vedere il museo dell'immigrazione che ha reso grande questo paese pieno di acri di terra da dividere e preferiva fotografarsi davanti alla statua della Libertà, così deludente nella sua riproduzione mignon in presa diretta.
Altre cose mi hanno piacevolmente colpito.
La gentilezza degli autisti di bus che non trovano affatto strano fermare il mezzo lungo la strada per accompagnare la signora in carrozzina al posto a lei riservato, dopo aver abbassato  la pedana.
La risata della commessa che ha imparato un poco di spagnolo e per quello si sente pronta a provare a parlare italiano.
I sorrisi di sconosciuti passanti che incroci e che accennano un anonimo saluto in una città così piena di gente e dove, per sentirsi soli e protetti, basta abbassare il volto sullo schermo del telefonino.
Mi è piaciuta la solare allegria del centro di Harlem, la placida serenità di Central Park, il papà con il cappellino a cono in testa intento a far giocare la figlioletta a Bryant Park, le partite a bocce avvincenti come le sfide nel campetto di basket.
Mi  è piaciuto ballare in metropolitana, senza sembrare una tarantolata, al ritmo di "Guantanamera", cantata da un vecchio suonatore.
Mi è piaciuto ascoltare le persone parlare ad alta voce con nelle orecchie chissà quale interlocutore telefonico.
Mi è piaciuto perdermi nell'architettura verticale e sognare una casina di legno tutta mia tra le casette del Village.
Mi è piaciuta e mi ha pure infastidito tutta questa moltitudine umana che cerca ogni giorno  a fatica di vivere assieme.
Mi è piaciuto il dormiveglia del dover camminare tanto per vedere e cercare di capire.
E ora vorrei il sonno profondo, che fatica ad arrivare. Per pensarci su meglio.




2 commenti:

Baol ha detto...

Io, entrambe le volte che sono stato negli Stati Uniti sono tornato a casa a malincuore...

A New York devo tornarci ma, prima, vorrei tanto tornare a Chicago.

marcella aka milo ha detto...

Di New York mi aveva colpito la gentilezza, l'urbanità della gente, che di certo non ti aspetti in una metropoli sempre di fretta: chi ti tiene aperta la porta di un negozio o il cancello della metro, chi si sposta per lasciarti sedere vicino al tuo compagno, chi ti lascia il passo sul marciapiede stretto, chi ti chiede se hai bisogno d'aiuto quando ti vede alle prese con una cartina che non sai bene da che parte girare. E sempre, sempre, dappertutto, gente che saluta, che dice buongiorno e buonasera, e ringrazia quando tu a tua volta ti comporti con gentilezza.

Roba che, per dire, in molte grandi città italiane ed europee è una rarità.

Altra cosa che mi aveva colpito, tantissimo, è quel che ho chiamato "effetto carrugio": a una certa ora del pomeriggio a livello terra è già buio, perché i grattacieli fanno ovviamente un sacco d'ombra, mentre i piani alti sono ancora al sole. La prima volta che l'ho visto, emergendo dalla metro in Times Square due ore dopo essere atterrata a JFK, è stato davvero impressionante.

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