Fatacarabina

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mercoledì 28 marzo 2012

Piccolo elogio della debolezza

Essere deboli, che brutta cosa. E' una condizione non socialmente accettabile la debolezza, me ne accorgo. Lo percepisco che se ti mostri debole vieni guardato o con una punta di compassione, o di sorpresa ("ma come, proprio tu? Non l'avrei mai detto") o cala il silenzio ( " Sarà depresso meglio tacere").
Sono andata a guardarmi il vocabolario dell'Accademia della Crusca che la debolezza la indica come una condizione di malessere. E' lo è in un certo senso. Ci sentiamo deboli quando le cose non vanno come vorremmo noi e allora insorgono i sensi di colpa, che possono essere atavici, ovvero te li porti dietro da quando sei bambino e magari ti hanno fatto sentire sempre inadeguato rispetto alle aspettative poste nei tuoi confronti o avevi competizioni che non vincevi mai o sono momenti di passaggio, in cui tutto osservi e se riesci tutto ribalti, seduto per terra con la tua vita come se giocassi con i mattoncini del Lego e poi ti rialzi.
Perché la debolezza  è un malessere ma non è una malattia cronica,  poi passa, ti fa rialzare e via andare.
Se non ti sei mai sentito debole probabilmente non capirai cosa sto dicendo, se lo sei stato e non lo dici a nessuno perché ti vergogni, non so, ne riparliamo se ti va.

Dicevo che leggevo il vocabolario e dopo una sequela di frasi che indicavano il malessere, alla fine l'ultima, dice questo:
 Debolezza si usa anche per Imprudenza. Lat. animi levitas. Gr. ἀφροσύνη.
Debolezza si usa anche per imprudenza...
Cavolo è verissimo. Debole è anche chi cede al proprio istinto. 
Debole è chi esce dallo schema sociale del vincente a tutti i costi e accontenta il proprio bisogno...

E' come l'impiegato con la cravatta, che ad un certo punto devia dalla strada per l'ufficio e va al mare. Arriva alla spiaggia, toglie le scarpe e i calzini, arrotola i pantaloni. Apre il colletto della camicia e con un gesto energico sfila la cravatta e va a bagnarsi i piedi nell'acqua salata.
Ecco in quel gesto energico c'è un sacco di debolezza e un sacco di imprudenza.
E senza quei gesti la nostra vita sarebbe solo una catena di montaggio, programmata fin dall'inizio a marciare sui binari prestabiliti.
E invece non è mai così, non va mai così.
E allora che non sia il caso di accettarci anche deboli e attendere che il malessere passi per ritrovarci con una pelle nuova? 


4 commenti:

gatto ha detto...

la combattevo oppure, x contrario, me ne davo come di vanto. ora semplicemente so che mi pervade tutto e poi mi lascia, a suo tempo.
ed io, segretamente, le dico : lasciami, sì...ma dopo, sì , ma piano. (e anche questa me l'ha insegnata l'Enzo con l'alzheimer, dottor Jannacci)

buona giornata, Fata. e mangia, che se no ti vien debolezza ( x mia mamma era sempre solo sinonimo di digiuno)

fatacarabina ha detto...

Gatto, lo dice anche la mia mamma quella cosa del mangia che ti vien la debolezza ( l'avrà imparata da nonna)
Ciao :)

PdC ha detto...

Sono d'accordo su tutto.
Sembra che un solo momento di debolezza vanifichi anni di iper-performance da super eroi.

Sarà anche un luogo comune, ma l'ho sperimentato sulla mia pelle, spesso è molto meglio piegarsi che spezzarsi.

fatacarabina ha detto...

pdc ne capisci te

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