Fatacarabina

Fatacarabina

martedì 31 marzo 2009

Munnezza

Non ricordo più chi ( e non si arrabbi per la dimenticanza) alcuni giorni fa su friendfeed diceva che gli amori non condivisi finiscono diritti nella munnezza. Una sentenza senza appello, che mi ha lasciato l'amaro in bocca. Perché gli affetti, uso un termine più vasto per farmi capire meglio, a mio avviso dentro un cassonetto non ci dovrebbero mai stare. Sono comunque reali e per questo importanti, anche se non baciati dalla magia della condivisione. Ci vorrebbe un posto diverso per gli affetti non condivisi, non certo il cassonetto, mi sono detta.
E così mi chiedevo dove poteva finire tutto quell'amore che si è sentito dire di no o che non era utile, o quell'affetto tra persone che magari è l'anticamera dell'amore o dell'amicizia, ma che non viene capito o cade nelle incertezze e non si alza subito dalla pozzanghera o che sbaglia l'approccio ma non la sostanza.
Volere bene in solitaria credo sia uno dei sentimenti più difficili da provare sulla propria pelle. Ti lascia tanta incertezza e solitudine, dentro, proprio perché il principio dell'amore ( per un uomo o una donna, un amico o una amica) è la condivisione. E quindi se vuoi bene solo tu, il tuo bene vale meno? Se ami solo tu, il tuo amore all'improvviso diventa niente? Non voglio pensarlo, perché vorrebbe dire che il nostro cervello, in secoli di affetti orfani, avrebbe dovuto metterci in guardia subito, magari ordinandoci di lasciar perdere alla prima avvisaglia di fallimento. E invece molti di noi continuano ad amare e a fallire.
E tutto questo affetto non si spegne con un click. Non basta un no a farti cambiar idea.
I sentimenti, semplicemente, finisci con il tenerteli per te, perché sono all'improvviso soli oppure non hanno mai potuto esprimersi o l'hanno fatto decisamente male. Prima cerchi di farti capire, poi passi al cilicio personale, ed infine resti lì con questo carico da novanta, inespresso.
Ecco, più ci penso mi convinco che piuttosto che il cassonetto per questi amori orfani servirebbe un giardino dove portarli a correre, finalmente liberi di esprimersi come vogliono. Così che chi non li ha voluti, magari, possa spiarli da lontano e ridere di tanta energia. Oppure possano starsene con altri, loro simili, non certo per crear la casta dei falliti, ma per quattro chiacchiere tra simili. O possano imparare ad esprimersi in altri modi.
Orfani , certo, ma mai inutili.

Mate de coca

Io mica lo so se è la gioia dei pazzi o degli illusi, ma io son felice. Ho appena finito di livellare e sistemare l'atto finale de "Gli smontatori" e sono felice. Ballerei per casa se non fossero le 2.30 e metter i Clash a palla è dura e sono anche fuori uso le cuffie, e allora, visto che sono felice e stremata, mi bevo un mate de coca prima di andar a dormire e ripenso a quanto è bello fermare il tempo, raccontando storie. E' il mio antidoto ai dolori e alle insoddisfazioni. Sarò pazza, sarò una illusa. Ma non importa niente, Io stanotte, davanti ad una tazza fumante, da sola, sono contenta, cazzo.
Domani lo troverò quel refuso, che sicuramente mi è scappato, anche se ho letto, limato e riletto 50 volte.
Ma ci penso domani.

lestoriedimitia

Gli smontatori - atto finale

tutta la storia

su lestoriedimitia

domenica 29 marzo 2009

Il nervo scoperto




A me la pioggia fa effetti strani.
Non la amo particolarmente, ma la pioggia ha il suo perché. Sempre
La pioggia bagna la terra arida e la gonfia di voglia di vivere. Oppure rende tutto scuro all'improvviso e ti ricorda quanto sei stronzo. Mio nonno diceva che la pioggia lava via tutto.
Io penso che lei, scendendo decisa, e
a suon di lavarmi, lei mi spogli e mi costringa a vederlo, il nervo scoperto.
Ecco, sono sotto la pioggia, che bagna i miei capelli e mi dice che le cose belle capitano e scivolandomi sulle labbra e le orecchie, passeggio con una goccia impertinente che mi sussurra quanto sono stronza.
Perché avevo una cosa bella e l'ho trasformata in un nulla silenzioso.
E nuda, sotto quest'acqua, lo vedo il nervo scoperto e mi tocca dirlo, che quel nulla, oggi ( come ieri e come domani) , mi manca.

sabato 28 marzo 2009

Semicerchi

Prima di provare con il tiro con l'arco (eheheheh, mica mollo io - son cocciuta), sono di nuovo qui a scrivere. Principalmente perché mi sono dimenticata di una promessa fatta a ziomau.
Ovvero spiegare il concetto di "Cavite dal semicerchio", che ho usato una volta in Friendfeed e che uso spessissimo nella vita di tutti i giorni.
Cavite dal semicerchio, ovvero togliti dal semicerchio, traslando dal veneziano all'italiano.
Fondamento coniato da un amico in una vacanza in Jamaica, quando dopo aver consumato una omelette di funghi in un noto ristorante, lui e due amici tornati nella stanza d'albergo, capirono tante cose.
Anzitutto che in una stanza da bagno, ci può stare un elefante e che è possibile esser anche solo per un giorno superman, con poteri incredibili di emanare luce, quando si guarda verso il mare. E che con la dovuta attenzione, vedi anche la goccia d'acqua sulla palma a 100 metri da te. E ancora, che mai salirai in aereo se sfortunatamente, invece di una mano, hai una grossa chela di aragosta , che pesa, pesa tantissimo, e anche se pensi alla disgrazia di una simile condizione, poi sei felice perché scopri che con quella chela puoi disegnar nell'aria i concetti fondamentali della matematica maja e capirli tutti all'improvviso. E ti senti così intelligente e connesso alla natura, che scopri il concetto base, quello che tutto regola. Il cavite dal semicerchio: ovvero il principio dello spazio vitale. Tracci un semicerchio davanti a te e decidi tu , se e quando farci entrare chi vuoi. O farlo uscire per un quarto d'ora o una intera giornata. E' lo spazio indispensabile per una vita serena. E' il salva-vita.
Se ne tornarono a casa, dalla Jamaica, più felici, i miei amici. Con quel mistero racchiuso in una videocassetta, che aveva registrato solo l'audio di quella rivelazione. Ma bastò. Ascoltarla provocò una tale ilarità generale, che sembrava fossimo stati anche noi al ristorante con loro. Ma quando ci si trova di fronte a rivelazioni di quel tipo, se ne resta anche segnati. Da allora, vige il principio del semicerchio, che regola i buoni rapporti tra noi amici. E tra me e il mondo,
E' un segnale, scatta il salva-vita. E tutti si devono adeguare.
"Cavite dal semicerchio!".
E' facile, provateci anche voi.

venerdì 27 marzo 2009

C'ho l'arte ciò

Cazzari si nasce, credo. Puoi anche diventarlo, con anni di sapiente dedizione, ma sono convinta che si nasca predisposti.
E io come cazzara, beh, sono a buon livelli.
Mi piacciono sempre gli uomini irraggiungibili, quelli che mai mi guarderanno con una occhiata sexy.
Mi piacciono a volte le battute sconce
Mi piacciono i convivi maschili, magari con un giro di carte, piuttosto delle serate di dimostrazione della Tapperweare (come dicono dalle mie parti).
Quando salgo a bordo di un'auto, sarebbe bene che organizzassero una chiusura al traffico
Sono così distratta, che ascolto sempre i discorsi degli altri, e poco quelli diretti a me
In cucina da anni ho il divieto di usare la pentola a pressione, specie se devo preparare fagioli
Sono terrorizzata dal microonde che emana saette quando ci inserisco le vaschette di alluminio
Parlo tutte le mattine con le mie piante e ballo in kimono ma saluto tutte le mattine il vicino del palazzo di fronte
Conosco più nomi di birre che di calciatori famosi
Vado avanti?
No, meglio di no. E devo ancora migliorare
buonanotte

Sono troppo superba

Questo blog sta diventando una sorta di diario. Prima qui ci scrivevo tutto: i pensieri, le poesie e i racconti. Poi ho pensato che i racconti avevano diritto di starsene in un posto a parte ed è nato Lestorie, in un momento evidente di superbia e sboroneria. E questo blog, il vecchio hotel, è diventato altro. Cioè, oggi è il mio angolo e finisce che ci scrivo soprattutto dei miei stati d'animo o dei tanti pensieri che faccio.
Ieri sera ho pensato: ma alla gente interessa quel che io penso e scrivo qui?
E se il mondo social ristabilisce paro paro, i comportamenti sociali della vita di tutti i giorni, senza andar oltre ai gruppetti degli amici degli amici, del ti liko perché sei figo e famoso, e del non ti cago perché qui tu non sei amico di quello o quella, io che c'azzecco?
Fare la parte del cane sciolto mi va bene, non è un problema. Sapere che sto antipatica a più di qualcuno, lo è ancora meno. Solo che davvero all'inizio avevo pensato al social 2.0 come ad un luogo che abbatte le barriere, invece di erigerne di nuove. Evidentemente il lavoro da fare è ancora molto. Ma a favore del Social, devo mettere nel conto anche alcune perle, che sono i miei nuovi amici. Uomini e donne a cui voglio bene e che conosco e di cui mi fido, anche.

Piuttosto, la prima domanda resta in sospeso. Ha senso quel che faccio e scrivo, il messaggio che cerco o spero di mandare arriva o passa via come l'acqua sprecata, dieci litri cavoli, ogni volta che tiro lo sciacquone in bagno? ( e qui va un sorriso a la Rejna per la suggestione passatami con un bel video).
Ha senso poi ostinarsi a pubblicare su Lestorie i miei racconti? In fondo, potrei ( e qui arriva un'altra suggestione, direttamente da Eio) fare come tanti: scrivere e tenere i miei scritti per me e partecipare al premio di poesia indetto dalla Proloco per la sagra del peperone, invece di scaricarvi addosso, in Rete, i miei racconti solo per la voglia che sento dentro di contarle, le storie. Cioè per dirla alla Zio Bonino, se giochi a tennis ci scrivi sopra un libro?
Ecco, a me il tennis non piace ma ci siamo capiti...
Allora sono un essere privo di pudore e così superbo da pensare che interessi davvero a qualcuno la mia fatica?
Evidentemente sì, forse una delle caratteristiche del mio essere blogger è proprio la superbia.
Mi è piaciuto tanto il post di Elenasenzaaggettivi, in cui raccontava della sua normalità. Ecco, io sono assolutamente normale, quasi banale a volte, e mi sta bene. Ho solo un problema, quando mi metto a scrivere difficilmente mi fermo e lascio uscire cose che sento fortemente mie. Ma ora sono qui e mi dico: ma agli altri cosa gliene frega?
Non farei meglio a sprecare meglio le mie energie, che ne sò, iscrivendomi a quel maledetto corso di tiro con l'arco? O ad un corso di cucina?

Besos

Gli smontatori - terza e quarta parte

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E continua...

giovedì 26 marzo 2009

Ciao Piero

Il freddo take dell'Ansa ce l'ho ancora davanti, sullo schermo del pc.
Piero è morto, se ne è andato la scorsa notte.
Aveva 81 anni, era il nostro "nonno" giornalista, e io gli volevo bene. Mi piaceva la sua grinta. Mi piaceva quando mi raccontava che si era comperato un nuovo computer e delle sue escursioni in Internet. Mi piaceva perchè sapeva sempre regalare un sorriso. Un collega grintoso, di quelli che si sbattono, che stanno dentro il sindacato, anche quando sono in pensione. E si rompono le scatole, per aiutarti ad organizzare i seggi per le elezioni. Che pensano alla formazione dei giovani.
Ma oltre al collega, al sindacalista, c'era molto di più.
Prima di tutto, una persona per bene.

Ciao Piero, un bacio

mercoledì 25 marzo 2009

Calcestruzzi

Un giorno ero in un cantiere, e parlavo con un capocantiere. E quell'uomo, con le sue mani grandi e gli occhi azzurri, mi ha portato a vedere un sottopasso in costruzione. E si è fermato davanti ad una delle campate e mi ha detto: "Questo calcestruzzo, vedi, è meraviglioso". E io ho sorriso, perché non riuscivo a vedere la meraviglia, la bellezza, di un blocco di cemento immobile. Ne vedevo l'utilità, la funzione, ma non ne vedevo la bellezza. Poi ho guardato attentamente la faccia del capocantiere e quegli occhi azzurri e ci ho visto dentro tutta la soddisfazione, la fatica e il piacere di guardare quel calcestruzzo. E ho capito che la bellezza non è dove pensiamo stia normalmente, ma ci sta tutta dentro quel che ci appassiona. Anche se l'opera finale è un blocco di calcestruzzo freddo e silenzioso.
Beh, io mi sento oggi come quel capocantiere.
Che non dimentica la bellezza di un blocco di cemento che non intende dire nulla.

Gli smontatori ( seconda parte)

vai a http://lestoriedimitia.wordpress.com

martedì 24 marzo 2009

Ghigno 2.0

Lui- Sì, ho letto. Bene, anche il richiamo in prima. Ma lo sai che scrivi bene?
Io - Grazie
Lui - No, davvero. Hai mai pensato di scrivere racconti?
Io - (silenzio e ghigno 2.0)


Ps: l'ho scritta qui per necessità motivazionali :)

Gli smontatori

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.... e continua....

Bevo troppo caffé

Ieri una signora mi ha detto che io quando parlo dei miei sentimenti, del mondo che mi circonda e di come lo sento io, sono difficile da fermare. Sono una eccessiva, insomma, che rischia di bloccare invece di far scorrere.
E' questo quello che ho pensato, ascoltando la bella signora.
Io sono eccessiva, in tutto. Voglio bene? Mi si spacca il petto in due. Sento una mancanza? Mi si apre in due il cervello. Tacere mi è difficile, e finisce che scrivo fiumi di parole, o sono un torrente di discorsi, e solo così si placa l'entusiasmo che porto dentro.

E poi, per dirla tutta, bevo troppo caffè.

lunedì 23 marzo 2009

La sfiga di non esserci

La sfiga di non andare ai Barcamp, specie se non ci sei mai stato e avevi voglia di farlo ma sei stato bloccato dal lavoro, è quella che ti resta la curiosità dentro di sapere come sono, di persona, certi blogger che leggi. Ti restano, dentro, quelle domande fondamentali, che fatichi a dormirci anche di notte.
Cose del tipo...

Perchè Stark porta sempre le magliette a righe?
Simone Biagiotti consuma più funghi di me?
Zio Bonino ( sempre sia lodato) emana luce propria ?
Se sfioro la pasta madre di Sara Maternini divento all'istante Suor Germana?
In 15 minuti, 15, riesco ad ubriacare Sba?
Beneforti non sorride mai in foto perché non sta bene?
Il sorriso di Sidgi o la bellezza di Lafra sono malattie contagiose?
ZioMau esiste davvero?
Catepol ha i ricci wi-fi?
Adamo Lanna oltre al cielo cosa guarda ogni mattina?
La grinta di Fran ha la potenza tellurica della faglia di Sant'Andrea?
Ale StrongAle ama le rosse o le bionde? (parlo di birre)
Laflauta come se la cava con i bonghi?


Insomma, mi toccherà prendere ferie ed andare pure io a un barcamp, un giorno, perché nella vita qualche risposta è bene averla, ogni tanto.
:)

W la campagna

Far la contadina è bello...Stai all'aria aperta, a contatto con la terra. Ne senti il profumo che ti arriva diritto nel cervello, e zappi e profumi e pensi che fai bene, che qui nascerà un orto per te e gli amici e sarà una soddisfazione pazzesca mangiar poi tutti assieme le zucchine, i fagioli, le tegoline, i pomodori che ti piacciono tanto. Che sarai orgogliosa che quel bendiddio lo hai curato tu, dopo tanto zappare e togliere sassi e erbe matte che crescono selvagge, e che sei stata brava a farla diritta la fossetta e che, insomma, nelle tue vene scorre sangue contadino e si vede che non hai mica paura, tu, di sporcarti le mani e di indossare i jeanz da lavoro...Pensi anche che dopo la fatica arriva la siesta e ti stendi sull'erba con un bicchiere di vino e senti l'odore della terra e dici, sì, te lo dici, dopo tanto zappare faresti pure altro...che in campagna non viene mica male.

Poi otto ore dopo, ti svegli nel tuo appartamento , mica in mezzo all'erba, con la certezza che il maledetto Suv del vicino, quello che le verdure le compra solo al supermercato e tutte rigorosamente fuori stagione, sia passato sul tuo letto, quello dove hai dormito tu, una decina di volte in retromarcia. E scopri di aver muscoli che non sapevi, perché in ogni punto senti male, e hai una faccia da procione pazzo, e godi in doccia nel mandar via l'odore di terra...che non va via con un solo risciacquo.
E ti chiedi come cavolo fanno i contadini e se tu non sei l'ennesima sborona che fa l'orto solo perché fa figo e che è molto meno doloroso andar dal verduraio e dire buongiorno, un chilo di tegoline, invece di presentarti in ufficio come l'ennesima reduce di una splendida giornata in campagna...

domenica 22 marzo 2009

Aver radici è profumar di terra

Stesa sull'erba a guardare il sole, con il cappuccio della felpa alzato, a proteggermi i capelli, ho avuto voglia di radici. In mezzo all'erba mi sento bene, dopo aver lavorato di vanga e rastrello per zappare la terra e prepararla ad ospitare il nostro orto amicale. E visto che lo zappare mette sete e l'acqua è un bene prezioso, ci si trastulla con il vino. Che porta sempre alla terra e io, qui stesa sull'erba a guardare il sole, ho voglia di radici. Ma non voglio quelle dell'erbetta, che strappi via quando cresce selvaggia. Voglio esser come la vite che seppur grinzosa, cavoli, è di una bellezza che fa spavento, con i suoi grappoli rotondi e gonfi e la sua voglia di espandersi. E se li cogli i grappoli, lei se la ride. E se quei grappoli, li trasformi in vino, lei se la gode.
E io nell'erba sento che sono come la vigna, che se la ride e se la gode. E i capelli voglion andare fino a terra, tuffarsi dentro e diventar radici e intrappolarmi lì, davanti al raggio di sole, che mi solletica la faccia e se ne frega se io ho gli occhi che bruciano al suo sguardo. E sento che profumo di terra e sento che mi piace. E le sento, le radici, soffici e profumate espandersi sotto di me. E mi rilasso, avevo voglia di radici e adesso so che le ho.

sabato 21 marzo 2009

Brividi da febbre

E' una punizione bella e buona, quando il termometro della mancanza segna febbre a quaranta e il medico se ne è partito, spegnendo il cellulare. E ti manca, oltre al dottore, pure la cura.
Una guardia medica, in questi casi, sarebbe incompetente come un fantoccio passatempo. Resta il pronto soccorso della finzione, quella lieve fantasia che aiuta ad accantonare i dolori dell'influenza in atto. C'è , oltre al malato, anche il sano immaginario, quello che fa finta che la febbre sia solo un lieve riscaldo.

venerdì 20 marzo 2009

Non ci penso, che è meglio

Una settimana fa pensavo di mollar tutto, che fosse alla fine solo un esercizio di stile o un giochetto. Era invece, stramaledetta paura. Dovrei esser contenta, che ci provo, una buona volta. Ma faccio finta di non aver fatto nulla, sennò la paura torna.

Ha detto tutto lui

Leggetevi qua:

http://vix-nientedadire.blogspot.com/2009/03/fareste-uscire-vostra-figlia-con-questi.html


Ha detto tutto lui, che qua ci capita spesso, e a me tocca solo far copy.
Io mia figlia, per la cronaca, con quei due la farei uscire, e pure con il MARCO, così almeno si divertono e non mi tornan scemi.

mercoledì 18 marzo 2009

Ecosistema amicale

Cosa sarei senza i miei amici? Io sono quel che sono e mi va benissimo così, grazie anche al mio ecosistema amicale. Non serve che li ringrazi di sopportarmi, farmi ridere, leggermi in faccia quando ho un terribile temporale di pensieri in testa. I miei amici ci sono e sanno che se io li cerco è perché sto bene con loro. Un grazie è parola inopportuna.
Sanno che non devono dire nulla quando io ho voglia di starmene da sola. O sanno quanto mi riempie di gioia vederli buttare in ridere ogni mia questione lavorativa, perché è importante chi sono io e non che lavoro faccio. E chi sono loro e non che lavoro fanno. E sanno i miei amici quanto amo la loro compagnia, come stasera che cade di mercoledì, e significa pappa e vino in compagnia. A ridere ma anche aiutarsi, se serve. Con alcuni condivido tutto, praticamente da una vita. Altri sono arrivati dopo e sono oggi parte di quella filosofia che io chiamo il piacere personale e condiviso. Altri sono spariti, e mi mancano comunque, e sento che l'ecosistema amicale, senza di loro, non è perfetto. Loro sanno, che io, perfetta non sarò mai. Ma sarò sempre me stessa e un abbraccio scioglie , spero, qualsiasi tensione o incomprensione. Ecco perché un grazie sarebbe solo di troppo.

martedì 17 marzo 2009

Dialoghi impossibili ( mica tanto)

C: Senti, te lo ripeto. Io decido. Tu te ne stai buonina, capito?
F: No, rivendico il diritto di pensare ed agire come meglio mi piace.
C: Anche boriosa mi sei diventata. Che cavolo vuoi pensare tu...tu sei solo azione senza pensiero.
F: Sei sempre il solito, vuoi comandarmi.
C: Ma poi, come ti è venuta in mente sta cosa? Che ci fai tu con un cervello. Sei solo oscurità e umidità.
F: Beh, parla il figo. Sono più bella di te. Facciamo a gara?
C: Lasciamo perdere, non ci arrivi. Non vai oltre gli stimoli. Sei come un insetto che saltella per la scarica elettrica. Reagisci alla cazzo.
F: Sì, appunto...
C: Vabbè...
F: Paragone azzeccato. Chapeau.
C: E' che ogni volta che io mi addormento un attimo, tu sei là pronta a far quello che ti pare. Se io dico di no, è no. Non si va a far cavolate in giro in mia assenza.
F: Me la rido, tu c'eri...solo che mi hai lasciato fare. Perché ti andava bene. Siamo complici, non avversari. Te lo sei dimenticato?
C: Tu prendi il sopravvento quando io ho lavorato troppo e sono stanco.
F: E io sono quella che ti regala le soddisfazioni migliori. Sono quella che ti fa divertire. Se senti è grazie a me.
C: Non esageriamo, altrimenti io che ci starei a fare? Mica siamo conigli. Ma non puoi sempre essere tutta istinto. Ci sono regole, cose che è meglio non fare.
F: Non credere. Per fortuna che ci sono, altrimenti saresti lì fermo, a crogiolarti nei tuoi pensieri. Parli così solo perché ti senti usurpato.
C: Cerchiamo un compromesso, sono stanco di correrti dietro per rallentarti.
F: Un compromesso? Lasciami correre.
C: Sei una vecchia anarchica.
F: E tu un vecchio comunista.
F: Andavamo d'accordo...
C: Sì, è vero. Ce la siamo spassata assieme.
F: Se non abbiamo ancora divorziato ci sarà un perché, no?
C: La verità è che senza ti te non mi diverto...
F: Idem. La cosa è reciproca.

lunedì 16 marzo 2009

Lunedì

Il bello del giocare a nascondino non è il nascondersi ma il farsi scoprire dopo aver fatto "mea"

sabato 14 marzo 2009

Autoanalisi

- Resisto a tutto, ma non gli affetti.

- Ci sono persone che mi mancano come il bicchiere d'acqua minerale fredda al mattino.

- Fare la stronza non fa bene alla mia pelle.

- Ho scoperto di essere una donna pignola: negli ultimi giorni ho sofferto dopo aver mancato un apostrofo. Oppure sto solo invecchiando male.

venerdì 13 marzo 2009

Il sottoportico delle gomme

C'è un sottoportico a Venezia dove la volta è piena di gomme da masticare, lasciate lì da chi è passato negli anni. Ci cammini sotto e le vedi, le cicche. Gomme alla menta, alla fragola, per denti bianchi o succose che ci hai fatto i palloni con la bocca per mezz'ora.
Mi è tornato in mente mentre mi chiedevo se esiste un paradiso non solo per i calzini spaiati ma anche per gli affetti andati a male, quelli che sono inciampati nelle incomprensioni o nell'indifferenza. I ti voglio bene e i ti amo che si sono nascosti troppo e sono rimasti soli. O quelli che hanno urlato di gioia ma hanno avuto a che fare con i sordi. E poi gli affetti che, come le gomme da masticare, li mastichi finché sono dolci e poi li attacchi al soffitto e te ne vai quando ti lasciano in bocca il gusto della gomma. Ci vorrebbe un sottoportico anche per loro, passi e lasci l'affetto orfano, integro o mangiucchiato che sia, attaccato alla volta. Almeno tutti assieme, si sentirebbero meno inutili

Mucche e treni

Perdo il mio tempo? Sto facendo la cosa giusta? Cosa mi fa felice?
Sono così piena di dubbi che , attorno a me, sta crescendo un enorme campo verde di erba medica, dove potrei far pascolare tutti quelli che dubbi non hanno. E che sono come mucche che guardano passare il treno, ruminando placide, con un pensiero che passa veloce e non resta a decantare come un bolo.

giovedì 12 marzo 2009

Arigatò

A me la cucina etnica piace assai. E così ieri sera sono stata al ristorante giapponese con i miei amici. E' nuovo, ha appena aperto nella mia città. Da giorni si parlava di farci un salto.
Entriamo e salutiamo a modo, per far capire che non siamo affatto gente che non rispetta le tradizioni altrui.
Salutiamo con un Arigatò, ma stranamente non otteniamo risposta da cuochi e camerieri. Ci sediamo, aspettiamo la cameriera, e quando arriva, beh, diciamo di nuovo Arigatò. Non si sa mai non abbiano sentito. E lei ci guarda stupita. E allora chiediamo: ma non siete giapponesi? No, siamo cinesi, solo il cuoco è giapponese , risponde lei. E ride.
E poi, comunque, continua lei, in un perfetto italiano, vivo in Italia da così tanto tempo che va benissimo il Ciao.
E a me è venuto da ridere se penso che quel Ciao, oramai lo usano in tutto il mondo per salutarti, con pronunce diverse ma con lo stesso significato. E invece, anche nella mia città, c' è chi ha ancora paura ad usarlo questo saluto oramai internazionale per non confrontarsi con chi arriva da paesi lontani. Poi mi sono ricordata che il Ciao nasce dalla lingua veneziana e pure wikipedia lo conferma ( http://it.wikipedia.org/wiki/Ciao) e che stava a significare "Servo vostro", che è il massimo dell'espressione di accoglienza. E invece in Italia l'accoglienza oggi la vogliono solo far far rima con Cpt, che proprio non ci sta. O no?

mercoledì 11 marzo 2009

Informazione di servizio

A te che arrivi sul mio sito, grazie ai motori di ricerca, dopo aver digitato "amanti del sesso sporco" ...
rifletti, per cortesia, prima di digitar la prossima volta.
Che di sporco, nel sesso, non c'è niente. Se non certi cervelli.
E comunque non ci fai del sesso coi motori di ricerca.

Mai saltar un passaggio

Stanotte ho sognato. Era uno di quei sogni tutti colorati, in cui senti anche gli odori perfettamente, in cui partecipi attivamente. Suonavano alla mia porta e io mi alzavo, tutta arruffata, dentro al mio strepitoso nuovo completino intimo, e andavo, assonnata, a vedere chi era. Ed era un uomo, e chiedeva di salire. Un nome che avevo sentito e la sorpresa dell'arrivo inatteso mi ha reso elettrica. E allora io correvo a metter il mio strepitoso kimono, sistemavo i capelli in velocità per togliere il nido di rondini, lisciavo la pelle del viso, e a piedi nudi correvo ad aprire, preparandomi all'inatteso incontro con il migliore dei sorrisi stampato sulle labbra. E lui saliva le scale e mi fissava orgoglioso.
Poi un rumore mi ha svegliato, era il campanello di casa. E sono corsa, senza pensarci, ad indossare il kimono, a sistemarmi i capelli, e poi ad aprir la porta, senza prima sincerarmi di chi fosse a suonare ( ma cavoli, nel sogno lo sapevo già, quindi...) attendendo questo splendido essere inatteso e ignoto, con un sorriso che da solo faceva primavera. Mi vedevo attorno i fiori sbocciare e chinar il capo, in omaggio a cotanta baldanza mattutina.
Quando l'ufficiale giudiziario è venuto su per le scale per consegnarmi l'atto di citazione, e mi ha fissato, con uno sguardo da branzino al sale, mi sono accorta di aver saltato un passaggio fondamentale.
Unica consolazione, mi ha detto che gli sembravo la Wanda sulla scala intenta a spargere baci e sorrisi.

Crudele

Il bisogno rende crudeli. La voglia rende crudeli. La crudeltà, in questa notte insonne, è manifesta. Solo i crudeli sanno perseverare. Non si rinuncia, perché cercare è una necessità. Non si pensa che non esista più un passaggio, un cunicolo in cui potersi insinuare per annusare quella presenza di cui si ha necessità. L'odore lo si sente, è un richiamo, e si continua a cercare la strada. A seguire i percorsi noti, invischiandosi in paludi solitarie, annusando l'aria. Si sente da lontano quell'odore, e ci si getta, affamati, alla sua ricerca. Solo i crudeli, in questa notte di lupi allo stato brado, non smettono di percorrere la strada impervia, pur sapendo che non avranno via di uscita dal pantano di ìmeghe.

lunedì 9 marzo 2009

Dilla tutta la verità

Dilla tutta la verità

Lo leggi qui
http://lestoriedimitia.wordpress.com

L'arma segreta

Io ho un'arma segreta, una sola, ma funziona ancora abbastanza bene. Ed è l'ironia fantasiosa, che uso a gran manciate su di me. Io non sono una figa, che fa girare gli uomini quando cammina per strada, ma ironizzandoci sopra, ho imparato ad amare il corpo, la faccia, le gambe che mi ritrovo. Ed oggi quando voglio sentirmi una bomba sexy, gioco con me e con gli altri. E poi ho le tette,che sono un viatico sicuro per la felicità. Quella personale e condivisa, di cui sono accanita sostenitrice.
Mi invento alter ego che mi canzonano dalla mattina alla sera, che mi fanno gli sberletti, che ridono dei miei capelli mai a posto, degli anfibi immancabili, dei jeans incollati al sedere, delle maglie rigorosamente scollate che i gioielli si mostrano, mica si nascondono.
In partenza era la donna invisibile, quella che sentivo dentro e poi fuori non vedevo. Era un periodo difficile, stavo facendo i conti con me stessa alla grande. Poi è arrivato il procione, che è ancora valido compagno delle mie giornate. In questi giorni tristi (il perché interessa solo me) il procione è sempre lì a farmi sorridere di come mi vedo. E allora puoi giocare su di te senza paura, mettere in mostra quel che hai senza star lì a far di conto tra difetti e pregi, che tanto i pregi li vedi prima o poi, grazie all'animaletto selvaggio e arruffato che, dentro la testa, ti prende in giro quando non ti senti adeguata alle situazioni.
Domani chi ci sarà? Non lo so, ma sono contenta di aver un alleato nella mia fantasia.
Ed è contento anche il mio analista, me lo dice sempre quel bravuomo. Gli garantisco una vita decorosa da alcuni anni. E io quando faccio felici le persone, che vi devo dire, sono contenta.

domenica 8 marzo 2009

Acquolina

L'eccitazione cos'è? Per me è quel preciso istante, in cui un uomo che ha a che fare con me, invece di lasciarlo andar via, lo tirerei per un braccio, lievemente ma anche con decisione, per annusare l'odore della sua pelle. E non mi staccherei facilmente.
E' in quel momento, quando per la mia testa passa quel pensiero, che mi accorgo se un uomo mi può piacere, oltre che nella vita di tutti i giorni, anche dentro il letto. E quando scatta quella sensazione, a me viene l'acquolina. Sono soprattutto gli odori e i sapori della pelle a farmi capire se va o meno. E ci sono stati momenti in cui mi sono trovata così drogata da un sapore, da un odore, da portarmelo dietro per giorni. Addosso, sulla mia di pelle. Perché ci sono uomini che hanno un corredo umorale così importante, che resistere è impossibile. Ci sono state volte che mi sono commossa davanti alla bellezza di un cranio, perfetto nelle forme, o di una pancia abbozzata, dotata di un ombelico con cui riprodurre, con grande soddisfazione, la marcia di Radezky. E gambe rocciose a cui appendersi senza timore di far sport estremo. E volti orgogliosi della loro eccitazione. E mani e piedi di una eleganza sublime. Ci sono stati uomini che ho voluto conoscere, anche solo per dire ciao, solo per i loro capelli selvaggi. E abiti regimental e occhiali retrò, dietro cui si nascondevano delle perle profumate.
Ecco io ripenso all'eccitazione spesso. A quel preciso istante in cui ho capito che volevo qualcuno. E non esiste niente che possa fermarti quando senti quel richiamo. E non credo che uomini e donne siano poi così diversi. E invece non faccio che sentire uomini lamentarsi delle donne e donne fare altrettanto, tirando fuori la vecchia storia della differenza di sessi, di obiettivi, di bisogni, di valori. Matrimonio, tradimento, figli, mi ami, non mi ami. Io, con la testa, ripenso a quei miei stati di eccitazione. Non sempre democratici, perché mica si è sempre ricambiate. Ma sono sempre più convinta che è quel preciso bisogno che nasce dal desiderio a renderci tutti uguali, per un attimo magari. Ma gli attimi fanno bella una vita. E allora eccitiamoci di più...no?

sabato 7 marzo 2009

Per fortuna...

Per fortuna che esistono le sfumature, che il mondo non è solo bianco o nero e che soprattutto non è mai solo del colore che vedi tu in un preciso momento. Ne ha tanti, di colori, di gradazioni, a volte indipendenti dai nostri stati d'animo e dalle nostre paure. E dovremmo ringraziarle le sfumature che sono l'espressione tangibile della speranza.

venerdì 6 marzo 2009

Sondaggio per anestesisti



Io in questo periodo non ho voglia di esser sensibile come sono, studio tecniche di anestesia emozionale. Ci sono quelle salutiste: correre per chilometri; pedalare come una folle su una ciclette; immergermi, testa compresa, dentro la vasca da bagno e provare a far il grand blue nel cervello. Ci sono quelle da sballati ma io che mi autoproduco il lisergico, che me ne fò? Ho una coltivazione di funghi di altissima qualità in testa!
Resta il tradizionale alcol, ma ho il palato fino, io.
E allora, continuo a studiare, ma lancio anche un bel sondaggio, qui .
Voi come fate ad anestetizzarvi? Idee ben accette.

Sentirsi piccoli

Un sogno.
Ho in mano una conchiglia. Dentro ci leggo solo due parole, mi manchi.
Ora che la porta non è più socchiusa ma sbarrata da una serratura anti-scasso, io sento che non ci arrivo alla maniglia per tirarmi su , con le corde, e tentar di bussare. Sarebbe opera vana e maleducata. E allora da questa altezza lillipuziana resto a guardare la mia conchiglia, un pezzo raro, tra i migliori della mia collezione, e quelle due parole scolpite nella madreperla racchiudono il tuo valore e il mio bene. Entrambi splendono sotto i raggi di questo pallido sole. E la conchiglia me la porto sempre dietro, come la coperta di Linus. Mi rischiara certe notti buie al pari delle tue parole, che ora sono mute davanti ai miei insolenti entusiasmi lillipuziani, ma che, non te l'ho mai detto o forse l'ho detto sempre male, avevano il pregio di farmi sentire capita.

giovedì 5 marzo 2009

Stalattite

Vorrei strapparlo questo cerotto che mi chiude la bocca, ma non ho la forza. Reagire vorrebbe dire combattere e dentro questo bicchiere di vetro capovolto in cui sono finita con il cervello e le braccia, non c'è spazio manco per muoversi e produrre una lieve brezza sulla pelle che tolga l'appiccicaticcio del contatto forzato, figuriamoci per alzar la mano e chiedere la parola. E le lettere dell'alfabeto mi escono dal cervello confuse e arrivano alla bocca chiusa da questo cerotto teso e solleticano il naso, troppo impegnato a respirare, e sbattono così contro il freddo del vetro, congelandosi, e poi rimbalzano giù , davanti ai miei piedi. Ed è fatica inutile, raccoglierle e ricomporle le parole che volevo dire per evitare di vederti comperare quel biglietto aereo che ti porterà lontano. Che lo so, amica mia, che tu pronunci la parola arrivederci e invece io, davanti a questo alfabeto confuso che ho ai piedi, compongo con gli occhi solo la parola addio.
Che lo so, che l'amore che ti ha tradito ti ha seccato e ti è rimasto dentro un deserto che nessuna donna può trasformare in un fiume. Che lo so, che a volte si sta vicini solo per non sentir l'eco del proprio ego solitario.
E allora, non resta che respirare, lentamente, spingendo l'aria dentro le narici, facendola salire a forza per cavità e fosse, lanciata diritta come una freccia dentro il cervello. E concentro in questo gesto doloroso la forza che mi resta anche se ho paura che se la mia testa tocca, per lo sforzo, la parete del bicchiere, risento tutto il male del tuo saluto, di un abbraccio senza calore di chi parte e non si lascia niente dietro perché niente ha avuto consistenza, e spero allora che con il rinculo arrivi il gelo in fretta, che tutto raffreddi, che il dolore si congeli, intrappolando risate, emozioni, ricordi in una stalattite che puoi staccare e gettare nel bidone della spazzatura, prima di salire quella scaletta e scomparire alla mia vista.

malefica

Il brutto e' che il viaggio ad un certo punto finisce e torni ai tuoi doveri e ti ricordi di botto che sei malefica come una mela avvelenata. E che dovresti girare con un cartello con la scritta " pericolo " al collo, per evitar di far danni involontari.

mercoledì 4 marzo 2009

Le mie mani su di te

Le mie mani, su di te, le poserei a lungo, con pazienza. Per scoprire gli incavi nascosti, imparare la strada e non dimenticarla, per sentirti sorridere al buio delle mie ricerche e dei trabocchetti sotto pelle che hai preparato per mettermi in difficoltà e incitarmi alla scoperta, senza lampada ad olio ad illuminarmi la via più facile.
Le mie mani, su di te, le poserei dolcemente, senza aggredire, scivolando sul velluto del suo sentire e poi, spossata, mi lascerei percorrere come una strada, per vedere quanto sei bravo a scovarmi un infinito dentro in cui puoi perderti a tuo piacimento, in silenzio. Che alle mie mani non devi dire, né indicare, né suggerire e io alle tue lascerei la libertà di inventare.
Devi solo intrecciar le tue dita con le mie e lasciar che la radice si formi, cerchi la via verso la terra, si dilati, pompando la linfa e la lasci scorrere e , in questo fluire, le parole escono senza il bisogno di dirle. E il fiato ci servirebbe solo a respirare e ne uscirebbero comunque inattese tonalità e punteggiature nuove.
Potremmo lasciarle scivolare, tra le nostre dita, queste parole nuove; potremmo divertirci a lanciarle in aria tanta è la loro leggerezza e poi potremmo farle cadere, racchiuse una ad una in una goccia, sull'ombelico per giocare a farle correre, come si faceva in spiaggia con le biglie da bambini, formando i percorsi che vogliono lungo il petto e le gambe. Io potrei rincorrere le tue, imparando a starti dietro; tu potresti assaggiare le mie, scaldarle tra le mani fino a fonderle e farci quel che vuoi. Potresti passarmi attraverso e andar oltre, lasciandomi con una scottatura che pulsa ogni volta che mi torni in mente.

martedì 3 marzo 2009

Togliti le scarpe

Lo zerbino è la prima cosa che vedi quando arrivi in una casa. A volte ti fermi lì, perché la porta non si apre.
Altre volte, lo scavalchi per entrare, ma difficilmente ti accorgi dell'esistenza di quell'oggetto che non è solo il punto di appoggio delle tue scarpe, ma il primo cenno dell'accoglienza che ti sarà offerta. C'è chi preferisce quello con la scritta "Welcome" per enfatizzare il benvenuto e chi lo sceglie grigio, così le macchie lasciate dalle scarpe di chi lo calpesta non si notano più di tanto.
Lo zerbino è un cenno evidente di accoglienza ma nessuno lo nota. Neanche fosse rosso fuoco, nessuno si fermerebbe a dire che hai messo un bel tappetino, seppur ruvido, davanti alla tua porta , rendendo così la tua casa ancora più accogliente e calda. Anzi, a volte nella vita capita che ti senti proprio tu quello zerbino che hai messo alla porta e che nessuno nota. Specie quando pensi di esser capace di regalare un sorriso o un abbraccio a qualcuno che manco si accorge che sei un essere dotato di bocca e di braccia. Semplicemente per qualcuno tu non esisti e anche se ti sbracci per farti notare, finisce che invece di volar in alto, a far giravolte di gioia, ti ritrovi stesa a terra, dello spessore del tuo inutile zerbino di lana e cotone, color rosso fuoco, che a te faceva tanta simpatia quando lo hai comperato, e che ora ti appare come una merda rossastra che allontana, invece di avvicinare. E speri solo che
chi arriva, non vedendoti, e ti calpesta, la tolga almeno la scarpa infangata prima di lasciar l'impronta in negativo sul tuo cervello appiattito.

schizofrenia da jet-lag

Sono in questo letto che sembra grande tre volte tanto, con gli occhi sbarrati nel buio, in preda agli effetti del fuso orario e non me ne frega assolutamente niente. Devo riposare che c'è da lavorare. Si galoppa subito; non c'è tempo, quando torni a casa da un viaggio, di disfar la valigia che ti tocca subito riprendere a correre, con il cellulare nella mano sinistra e l'agenda nella destra. Per non perdere un secondo, un minuto, un'ora.
Sono qui in questo letto che è una immensa isola e ci passeggio dentro e rivivo i secondi, i minuti, le ore di un viaggio e stavolta mi mancano i colori della mia America latina ma non c'è tristezza. Perché tanto ci torno.
E riprenderò a camminare per il mondo, ad incontrare persone, a sentirle vicine o lontane, come faccio tutti i giorni, qui, in questa umida laguna, che mi entra nelle ossa, mi lavora dentro, scavando cunicoli in questo cuore che è un mattone forato. E io sono qua che aspetto di capire che suono produce il vento passandoci dentro, tra le ossa sporche di argilla rossa. E sento la sofferenza e non la posso fermare. Che io non ho la forza di fermar nulla, tranne quella di chiudere una porta o di aprire una finestra per lasciar entrare il vento. E questo letto, come una placida isola, adesso scivola lieve in un mare di piacere, personale e condiviso. Mi ci sistemerei sopra e come si fa con i tappeti volanti, lo userei per andar ovunque, stesa come una gatta stanca, sfiancata da un impertinente raggio di sole. Ho viaggiato con le gambe, ed ora sono stanche, ma sono ancora in viaggio con il cervello che ha la forza di un bastimento a vapore e su quest'isola-letto sento di poter andar ovunque. E se mi ci accoccolo dentro mi sento quella gatta, sfiancata da un raggio di sole. E ci sto bene.

lunedì 2 marzo 2009

Coco loco

"Volete vivere in eterno? Sì, si può vivere nell'eternità. Io ci credo perché sta scritto qui, nelle Scritture". Mi mancava il predicatore da autobus, con la Bibbia inserita nel porta-libro in similpelle, gli occhiali, la bocca sdentata e lo sguardo perso nelle sacre Scritture. Sto viaggiando dentro un autobus scassato, con le marce che saltano ed un corroborante sottofondo di acciaieria, e all'improvviso sento di non aver scampo. Dentro il bus con me, in viaggio verso un bel parco marino colombiano, c'è il mondo. Nel senso che dentro il mezzo di trasporto ( che non sai come possa ancora muoversi, tanto è mal messo) c'è un numero indefinito di persone. I passeggeri rimasti in piedi, ad ogni posto di blocco, su segnale del bigliettaio, si accucciano a terra per evitar lo sguardo del poliziotto di turno che sorveglia la strada.
Viaggio tra anziani e bambini ed un numero imprecisato di oggetti: un fascio di tondini di ferro della lunghezza di oltre due metri; due materassi arrotolati ( che alla bisogna diventano sedili); svariate valigie di stoffe che tu credevi non fossero più in commercio da decenni; una borsa piena di piante ( alcune se hai sete le puoi usare, strappi una foglia e te la succhi come fa mezzo autobus) e ancora, sedie e tavolini, pacchi dall'odore eccessivo.
Il predicatore da autobus si mescola tra i passeggeri, poi quando il bus è in aperta zona montuosa, tutte curve, si alza, brandendo come una spada la Bibbia nel porta-libro in similpelle nera. E chiede perché non credi che esista una vita dopo la morte, che ci sia l'eternità per chi crede in Dio. E ogni tre parole, parte lo sputino, verso i passeggeri delle prime file, bloccati tra materassi e valigie, incapaci di fuggire.
E io sono in primissima fila e ho in corpo ancora i due Coco-loco che mi sono bevuta la sera prima. Sono ancora alle prese con i conteggi sulla possibile concentrazione di ron che ci può star dentro una noce di cocco piena di latte, e la mia mente , davanti a quelle minacciose parole, si mette a vagare, cercando una via di fuga. E penso cosa potrebbe fare il ragazzino del sedile davanti a me, che va a scuola con un machete attaccato alla cintura, se si trovasse, ancora ubriaco di ron, dentro un bus colombiano stipato di umanità e con il motore che sta tirando le cuoia in salita sulla montagna, in risposta al predicatore che gli urla nelle orecchie che sarà perduto se non crede, come lui, nella Bibbia, solo perché lì c'è scritto che avremo una vita eterna. Me lo immagino come il figlio della Sposa, che alla katana preferisce il più rude machete, assumersi il ruolo di vendicatore indio, per disboscare il bus dal predicatore inopportuno. Invece il ragazzino resta fermo, sicuramente manco ascolta. A me hanno messo il ron nel Coco-loco, a lui avran dato il bromuro per fargli sopportare, tutti i giorni, un viaggio simile.

Tú quédate quieto

Podría regalarte una parte mía y hasta dejarte escoger. Te quisiera quieto, inmóvil, observándome mientras estoy desnuda delante tuyo, sin más miedos y temores. Ufana de mostrarme ahora como soy. No bella, es verdad, pero llena de vida. Llena de historias y de pensamientos que vuelan dentro de este corazón como un ladrillo perforado per el viento. Y podría entonces regalarte mis ojos curiosos para ir a cazar rostros y colores con los que realizar tus telas. Podría regalarte mis orejas siempre listas para escuchar, así tendrías la mochila llena de historias para contarme de noche, después de haber hecho el amor. Podría regalarte mi boca, pero tiene siempre sed y pide empeño. Podría regalarte mis piernas, que son mi único apoyo a la realidad. Podría regalarte mis manos que siempre saben qué buscar, aún en la oscuridad.
Podría regalarte este vientre que palpita y que yo acaricio, desafiándote, para ver cuánto tiempo sabrás resistirle a la vida.
Puedes quedarte quieto, que de moverme me encargo yo.

tradotto da Claudia Sangoi
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