Ci ho giocato un sacco a un, due, tre stella! Ma proprio tanto.
Con i compagni del garage vicino a casa, dove ci si nascondeva, appena possibile, per dirci le prime parolacce e mostrarci le mutande, lontano dagli occhi degli adulti, e dove si sistemavano le ruote delle bici, regolarmente bucate dopo le lunghe corse nei campi dietro casa, si giocava anche a un, due, tre stella!
Uno stava sotto e contava, spalle al muro, con gli occhi chiusi come a nascondino, gli altri si avvicinavano quatti quatti ma quando lui si voltava, a sorpresa, dovevi stare fermo come una statua, anche se avevi la gamba su, perché magari lui si girava mentre te correvi.
Era divertente, si rideva un sacco, mi ricordo. Anche perché il gioco, sì, era veloce, ma qualche compagno, si metteva a girare, perfido, per vederci tutti immobili e allora dovevi stare serio e fermo.
Immobile, non un passo avanti, non un respiro di più.
Oggi che sono grande mi pare che è la vita, a volte, a farmi giocare a un, due, tre, stella! E io come allora, dovrei vederci il lato divertente e ridere del vedermi ferma come una statua ad aspettare il mio turno di giocare. E, invece, questa sensazione di immobilità pare, a volte, una irritante prigione, con le porte aperte.
Post scriptum: Poi in realtà ci si accorge che immobili, praticamente, non lo si è quasi mai ma a volte si ha la sensazione di esserlo. Strano, ma vero.
"È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore." "Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera. "Perché?" "Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile."
Fatacarabina
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